Santamaria

Tipo: Docufilm

Anno: 2021

Produzione: Associazione Arvéschida, Cineteca Sarda, Associazione Babel, Regione Sardegna

Mi sono occupato di: regia, soggetto, sceneggiatura

Santamaria è la storia di un giovane che sogna di diventare pugile. Si tratta di una vicenda tratta da fatti realmente accaduti in Sardegna nel 1968.

Girare il cortometraggio sulla storia di Raimondo Gaviano mi ha dato l’illusione di conoscere un ragazzo che ha vissuto cinquant’anni prima di me e che sognava da campione. L’abbiamo chiamato Santamaria, come il soprannome della famiglia: è lui ma al tempo stesso non è lui, è la mia idea di lui, dei suoi sogni e delle sue aspettative. Raccontare il suo personaggio in prima persona, come se fosse lui a parlare di sé stesso mi è sembrato il modo migliore per avvicinarsi alla realtà che ha vissuto tra Seui e Cagliari dal 1949 al 1968.

A volte durante la fase di scrittura della sceneggiatura e durante le riprese avevo quasi la presunzione di conoscerlo davvero, quasi fosse un amico: scoprivo i luoghi della sua infanzia e dell’adolescenza e lo immaginavo là, venivo a conoscenza delle sue esperienze lavorative e lo rivedevo in un bar, persino gli oggetti mi avvicinavano di più a quel ragazzo che sognava di diventare campione del mondo di boxe.

È successo ad esempio all’Accademia pugilistica Sardegna, la società dove si allenava Raimondo. Anche Santamaria si allena là e anche se la palestra si trova in un altro quartiere di Cagliari c’è ancora qualcosa che parla del vero pugile: un vecchio sacco da boxe rosso, tenuto in piedi da catene arrugginite e nastro americano. Quel sacco degli anni Sessanta che ha sopportato i ganci e i montanti dei grandi campioni sardi di quel tempo (Piero Rollo, Fortunato Manca, Franco Udella) ha preso anche i cazzotti del giovane Gaviano.

Ora regge quelli dei ragazzi di Is Mirrionis che nei quattro angoli del ring in via Mandrolisai, alla periferia di Cagliari, trovano conforto e una pausa da situazioni difficili con cui convivono ogni giorno. Cercano un riscatto che altrove non hanno: non nella scuola e nemmeno nel lavoro. Santamaria è uno di loro ma dalla sua ha che vive in anni in cui il pugilato in Italia è davvero uno sport popolare e gli atleti sardi sono tra i migliori in circolazione. Vede lo stadio Amsicora straboccare di spettatori per una riunione pugilistica, il suo maestro è il campione europeo Piero Rollo e tra i suoi compagni c’è Franco Udella futuro campione del mondo: respira il profumo delle possibilità, quello che ti spinge oltre la realtà. Sogna come si fa a diciotto anni quando esci dal liceo e ti sembra di avere il mondo in mano. Sogna a occhi aperti quando prima di dormire immagina di essere al Madison Square Garden di New York, il tempio del pugilato, e poi sul ring del suo paese dove tutti lo attendono per iniziare la scalata all’Olimpo.

Santamaria è uno dei bambini che come lui corrono per strada e ancora oggi hanno la libertà di poterlo fare, è uno dei ragazzi che dopo le scuole in troppi casi vanno via dal proprio paese non per curiosità e voglia di scoprire ma per necessità. Ma Santamaria possiamo trovarlo anche altrove in tutte quelle storie umane che si ripetono in ogni parte del mondo, così uguali in generale e così diverse nei particolari.

Santamaria nel suo piccolo è un eroe umano e tragico, ha coraggio e abnegazione verso il proprio sogno. Come Raimondo Gaviano e come Muhammad Ali. Perché non conta finale, non conta chi alzerà il guantone al cielo. L’importante è avere avuto una ragione per stare sul ring.

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